La transizione ecologica è un processo tanto difficile quanto fondamentale. Tra i settori maggiormente interessati, dato il suo continuo rapporto diretto con la terra, c’è senz’altro l’agricoltura. Quel tipo di agricoltura che non rispetta i naturali ritmi del terreno, cha fa uso di pesticidi e diserbanti o che addirittura ricorre agli ogm (tra le tante pratiche insostenibili) costituisce infatti uno dei maggiori concorrenti al degrado climatico e ambientale. Per fortuna, diverse aziende si sono attivate per effettuare un importante cambio di rotta, in direzione della sostenibilità. È il caso ad esempio di Mulino Bianco, che ha recentemente messo in pratica il progetto “La Carta del Mulino”.
Il marchio appartenente al gruppo Barilla ha collaborato con il WWF, l’Università di Bologna, l’Università della Tuscia e Openfields per dare vita a un progetto che rivoluzionerebbe l’agricoltura del grano tenero in Italia. La Carta del Mulino è, come indicato sul sito del brand, “il nuovo disciplinare di agricoltura sostenibile per il grano tenero a salvaguardia della biodiversità”. Si tratta di un insieme di 10 regole disciplinate insieme da Barilla e WWF Italia, con l’aiuto di esperti tecnici e scientifici, e che va ad interessare tutti gli attori della filiera del grano.
Il progetto, presentato per la prima volta nell’aprile del 2019, ha effettivamente preso vita lo scorso 21 marzo, con l’obiettivo di intervenire “sulle principali cause di perdita della biodiversità collegate all’agricoltura, come la semplificazione degli agroecosistemi con la perdita di habitat secondari essenziali per la sopravvivenza di molte specie animali e vegetali e l’uso eccessivo della chimica di sintesi nelle pratiche agricole” e promuovere “pratiche agricole virtuose per la tutela degli agroecosistemi e la fertilità del suolo, coinvolgendo agricoltori, stoccatori e mulini”.
Tra le regole che compongono la Carta del Mulino troviamo: l’obbligo di adottare un piano di rotazione quinquennale al fine di favorire la naturale fertilità del suolo; il divieto assoluto dell’uso di glifosate che non riguarderà solo i terreni italiani (dove tra l’altro già vige il divieto), ma anche quei paesi dove sarebbe consentito dalle normative locali; l’impegno a creare aree per la protezione della biodiversità equivalenti al 3% della parcella agricola che dovranno essere inerbite con semi di fiori nettariferi; l’obbligo di utilizzare solo le varietà di frumento indicate da Barilla e le sementi certificate.
Inoltre, viene espressamente richiesto di ricorrere a metodi fisici (come la refrigerazione e l’atmosfera modificata) e ad altri metodi ammessi nell’agricoltura biologica per la conservazione del grano. Il divieto dell’utilizzo di sostanze chimiche si estende anche ai neonicotinoidi, pesticidi altamente tossici per api e altri impollinatori, e ai fanghi di depurazione, troppo spesso ricchi di materie inquinanti e che quindi concorrono nella contaminazione dei terreni agricoli.
Attualmente il progetto coinvolge decine di molini italiani, centinaia di centri di stoccaggio (sia in Italia che all’estero) e migliaia di aziende agricole. Una volta andato a regime, quindi nel 2022, si stima che le imprese agricole interessate saranno circa 3.000, più di 60.000 saranno invece gli ettari destinati alla coltivazione di grano tenero sostenibile e 1.800 ettari verranno finalmente restituiti alla natura.